Gesù è morto in Croce per salvare l’umanità dal peccato e dalla morte. Cosa vuol dire realmente? Perchè era necessario che morisse?
Il sacrificio di Gesù con le morte in Croce ha siginificato la liberazione dell’uomo dal peccato e dalla morte. Questo è quanto si crede professando la fede cristiana.

Vedendo che nel mondo continuano ad esserci morte e peccato sorge la domanda per capire fino in fondo il senso di questo concetto.
Per comprendere bisogna osservare la realtà delle cose in modo più ampio. Gesù è vero Dio e vero uomo, e certamente non avrebbe avuto significato se avesse soltanto portato un messaggio e lasciato un insegnamento all’umanità.
Ha fatto molto di più. Per manifestare il suo amore per l’uomo che ha ha creato Dio si è fatto lui stesso uomo, si è incarnato e si è abbassato alla condizione umana.
E questo amore, l’amore più grande, come dice Gesù, è dare la vita per gli altri (Gv 15,13). Lui che è Dio Creatore e Padre rivelandosi in Gesù Cristo mostra al mondo tutto il suo amore sottoponendosi al sacrificio, alla sofferenza, alla morte per questo.
Peccato, morte e amore sono strettamente connessi nella forza redentrice dell’amore che appunto dando tutto di sé salva.
Si può affermare infatti che il contrario della morte non è la vita, ma l’amore. Mentre il peccato, che è ribellione e allontanamento da Dio produce dolore e morte, questo atto supremo d’amore lo vince.
Il nuovo significato di dolore e morte
Dolore e morte assumono perciò sotto quest’ottica tutto un altro significato. Non sono più punizioni che distruggono e annientano, ma diventano esperienze redentive, salvifiche che generano vita.

La domanda che l’uomo da sempre si pone nel suo combattimento della fede e quindi perché Dio non ha evitato a Gesù di morire, perché non lo ha fatto scendere dalla Croce, perché ha permesso che avvenisse tutto questo sta proprio nel vedere sofferenza e morte come strumenti salvifici.
Dio avrebbe potuto salvare con altre opere, ma ha scelto di farlo con questa dinamica per rispetto della libertà che ha dato all’uomo.
La libertà di amare e di conseguenza soffrire e morire, ma per amore. E questo non lo ha mostrato a parole o teoricamente, ma in prima persona, sulla sua carne.
Dal momento che dolore e morte non appartengono a Dio lui stesso le ha prese su di sè per trasformarle facendogli assumere così tutta un’altra connotazione.

In quest’ottica, nella fiducia nel piano salvifico di Dio e nel suo infinito amore ecco che le sofferenze che si incontrano in vita possono essere affrontate anche con gioia, una gioia profonda e spirituale che è dono di grazia.